Disponibilità: IMMEDIATA -
Esente IvaISBN: 9788883220760
Edizione: 2011
Tags: Interlineare, Metrica, Traduzioni
Categoria: Classici Latini
Editore: Editrice Ciranna
Autore: Cicerone
Pro Archia Cicerone, con testo integrale latino a fronte e traduzione letteraria in italiano, versione interlineare, costruzione diretta e note. Casa Editrice Ciranna
Pro Archia traduzione letterale con testo integrale latino a fronte, versione interlineare, costruzione diretta, note e metrica.
L'orazione «Pro àrchia» è una delle più brevi e delle più belle di Cicerone, ma soprattutto una delle più notevoli per la sua originalità e per le sue qualità letterarie. Pronunziata nel 62 a.C., essa costituisce, oltre che una difesa dell'accusato, un caldo e splendido elogio della poesia.
Aulo Licinio Àrchia, nato in Antiochia di Siria nel 120 a.C. da nobili genitori, fece i suoi studi in patria, segnalandosi ben presto per l'ingegno precoce e per la facile vena poetica. Venuto a Roma nell'anno 102 sotto i consoli Caio Mario e Quinto Lutàzio Catulo, entrò nelle grazie delle più illustri famiglie, e principalmente dei Luculli, che lo accolsero con la più grande ospitalità e gli si mantennero amici per tutta la vita. Per la fama del suo talento poetico, molte città italiche, quali Locri, Napoli, Taranto, Reggio Calabria, gli offrirono la cittadinanza onoraria con mille dimostrazioni di stima e di affetto. Verso il 92, Àrchia accompagnò M. Lucullo in Sicilia; nel ritorno, passando da Eraclèa, città federata della Lucania, ne ottenne la cittadinanza, acquisendo così il diritto di essere ascritto tra i cittadini romani.
Già da ventotto anni Àrchia risiedeva in Roma, dove godeva di una grande reputazione, quando un certo Grazio, uomo oscuro, appoggiandosi sulla legge di C. Pàpio, in forza della quale erano soggetti al bando tutti i forestieri che avessero usurpato la cittadinanza romana, lo citò a comparire in pubblico giudizio, contestandogli il diritto di tale cittadinanza. Cicerone, che era stato discepolo di Àrchia, memore e grato al suo antico maestro ne assunse la difesa: in essa egli dimostra che Àrchia non aveva usurpato il nome di cittadino romano, cui anzi aveva diritto; quand'anche non lo avesse avuto, lo avrebbe meritato per le sue opere poetiche che glorificavano Roma. La causa si svolse nell'anno 62 dinanzi al Pretore Quinto Tullio Cicerone, fratello dell'oratore, anche lui appassionato cultore di studi letterari che presiedeva allora alla «quaestio de civitate», l'apposito tribunale chiamato a giudicare gli accusati di usurpazione della cittadinanza. Per quanto è lecito congetturare, la causa ebbe esito favorevole per Àrchia.